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BIRMANIA E CAMBOGIA di Raffaele Banfi

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Birmania, Yangon - Shwedagon Paya

Un viaggio tra i tesori dell'Umanità

18 ottobre 2006
Sveglia alle 6,15, siamo avvolti dalle nuvole basse e durante la notte ha piovuto, guardando dalla finestra la giornata appare grigia, ma dopo pochi minuti dalla comparsa del sole, le nubi si diradano lasciando il cielo sereno, s'annuncia un'altra giornata di caldo afoso. Scendiamo per la colazione e noto che in tutto l'albergo sono posizionati dei fiori freschi e profumati, oltre ad abbellire fungono da deodorante. Alle 7,30 partiamo col pullman per vedere la statua di Buddha più famosa della Birmania, un luogo sacro e meta di molti pellegrinaggi. Dopo pochi minuti arriviamo presso la Mahamuni Paya (L245 - M142); un colonnato ammette al tempio dov'è custodita la statua di bronzo, realizzata in sei pezzi dal peso originale di 12 tonnellate con la testa tempestata di pietre preziose. Oggi dopo la continua apposizione, da parte dei fedeli, di foglie d'oro la statua pesa 13 tonnellate, praticamente una tonnellata d'oro è stata applicata in modo disomogeneo deformandola, sembra un corpo pieno di bubboni. Un'antica tradizione tutti i giorni si ripete; alle 4,00 di ogni mattina il tempio viene aperto ai fedeli ed alle 4,15 il viso della statua viene accuratamente lavato.
Il tempio originale era in legno di teak, nel 1880 è stato rifatto in muratura e a tutt'oggi non è stato modificato; gli archi sono in stile coloniale, la copertura è interamente dorata e sulla sommità è presente una griglia per proteggere l'hti d'oro da eventuali ladri.
Alle donne non è consentito l'accesso al centro del tempio dov'è la stanza di Buddha e devono restare ai lati, oltre alle transenne; delle guardie, rigorosamente controllano l'accesso alla stanza, bisogna essere vestiti con pantaloni lunghi ed indossare magliette, i copricapo non sono ammessi. Chi indossa un abbigliamento non consono, viene bloccato ed ''invitato'' ad indossare delle tuniche che i guardiani gentilmente pongono. Di conseguenza l'apposizione di foglie d'oro sulla statua è riservata solo gli uomini che salendo scale laterali arrivano alla base della statua potendo così applicare l'oro.
Lasciamo il tempio e poco distante, in un edificio vediamo delle statue bronzee, sono d'origine tailandese, del VIII sec., frutto di un bottino della guerra del 1784. Le statue erano state prese per essere fuse per realizzare delle armi, ma il re, appassionato d'arte decise di tenerle per collezione. Nel tempo, la credenza popolare attribuì alle statue dei poteri guaritivi, tutt'oggi toccando le statue nella parte dove si sente dolore si pensa che aiutino nella guarigione. Il risultato è che le statue sono più lucide e levigate in alcuni punti rispetto ad altri.
Originariamente le statue erano tempestate di pietre preziose, ma oggi sono visibili solo gli incavi contenenti le pietre.
Adiacente, un altro edificio dove è custodito un gong di bronzo dal peso di cinque tonnellate, sul cui dorso sono incisi un pavone ed un coniglio; la tradizione vuole che il gong serva per la distribuzione di particolari meriti. Collocate vicino all'enorme gong, con funzione solo di abbellimento, sono presenti due statue di bronzo che rappresentano degli angeli, ognuna dal peso di due tonnellate.

Uscendo dal tempio, percorriamo la galleria iniziale che ospita un mercatino di bancarelle dove si possono trovare statue di Buddha di varie dimensioni, braccialetti, collane, oggetti in lacca e mercanzie varie. Visto che i miei sandali, il giorno prima si sono scollati, decido di acquistare delle ciabatte infradito, chissà mai che riuscirò a vestirmi anche parzialmente alla birmana? Sosò ci richiama alla puntualità in quanto siamo in ritardo sul programma, ma d'altronde transitare per un mercatino con delle donne, equivale ad un ritardo ''indefinito''.
Lasciamo Mahamuni Paya ed uscendo dalla città di Mandalay ci fermiamo per vedere la scultura di statue di Buddha di marmo, la pietra proviene da cave poste sulle montagne adiacenti alla città. La lavorazione avviene partendo da un unico blocco di marmo, gli artigiani, che sono tutti cottimisti, secondo la propria capacità lavorano varie parti del blocco, dando forma alla statua. Il viso è la parte più delicata e viene lavorata esclusivamente da artigiani esperti. La lavorazione del marmo avviene con martelli, scalpelli e flessibili, uomini, donne, ragazzi e ragazze lavorano dando forma alle statue senza nessuna protezione per gli occhi, per la bocca e per il naso. La polvere di marmo, frutto dell'abrasione dei dischi flessibili, avvolge tutto e tutti, creando una nuvola bianca visibile da lontano e rendendo l'aria irrespirabile. La vita media degli artigiani è molto bassa a causa dell'asbestosi prodotta dall'inalazione della polvere.
Queste statue di marmo sono destinate alle pagode, la maggior parte è destinata all'esportazione; i birmani che sono molto superstiziosi, nelle abitazioni usano statue di bronzo o di legno, in quanto credono che statue di marmo in casa portino sfortuna.
Lasciamo Mandalay percorrendo le vie centrali che al nostro arrivo erano alluvionate, nel centro città gli edifici sono moderni, mentre man mano che ci avviciniamo alla periferia vedo delle abitazioni di bambù, alternate ad edifici coloniali un accostamento che ha un suo particolare fascino.
Percorriamo una strada attorniata da capanne e da risaie, e dopo pochi km arriviamo a Amarapura (L262 - M146), dove ci dirigiamo presso il Maha Ganayon Kyang (L263 - M148), un importante monastero dove risiedono migliaia di monaci; sono appena trascorse le 10 e possiamo girare per il monastero scoprendo la vita interna; vediamo molti edifici, qualcuno destinato a stanze dove i monaci dormono in comunità; solo agli insegnanti è permesso di dormire soli. Altri edifici sono luoghi di studio, altri sono scuole di ogni ordine e grado. Posti fra edifici dei muretti nascondono il luogo in cui i monaci fanno toelette; si lavano vestiti ed utilizzando delle scodelle si versano addosso dell'acqua che è sempre presente in diverse vasche dislocate nel monastero, veniamo avvertiti che è vietato fotografare i religiosi mentre si lavano.

Girando arriviamo alla cucina dove vi sono enormi pentoloni con gamberetti, carne, riso, the verde. Sul fuoco stanno cucinando della carne, poco lontano delle pentole di alluminio contengono il riso bollito che sarà servito per pranzo ai monaci. All'interno della cucina vi è una dispensa con dei sacchi, gamberetti essiccati, sacchi di cipolla e casse di legno contenenti dei pomodori (provenienti dal lago Inle). Molti alimenti sono frutto di offerte; i cuochi del monastero sono stipendiati da una persona benestante di Yangon, che in questo modo fa la sua offerta.
Nella vicina sala da pranzo possiamo vedere i posti riservati ai monaci e quelli riservati ai donatori.
Proseguendo nel giro del monastero vedo alcune abitazioni con delle donne anziane: è un ospizio inserito nel monastero, in cambio dell'ospitalità che ricevono, queste donne giornalmente si dedicano alla pulizia del riso per il pranzo dei monaci.
Siamo venuti al monastero per assistere alla processione che precede il pasto dei monaci, Sosò ci avverte di evitare di fotografare i monaci mentre pranzano.
Arriviamo presso l'entrata principale del refettorio, all'esterno vi sono dei tavoli con le offerte fatte dai donatori odierni, oltre alla carne vista in cucina, sui tavoli vi sono dolci e frutta.
Alle 11 precise un primo suono della campana, improvvisamente il viale centrale si popola di monaci, ognuno vestito col suo mantello marrone porta la ciotola nera che serve da piatto. I religiosi si pongono in due file indiane e lentamente s'avviano verso la sala da pranzo; l'ordine nelle file non è casuale, risponde ad un preciso rito e codice che non riesco a decifrare. Un secondo suono della campana, annuncia che è possibile accedere alla sala da pranzo; i monaci entrando nel cortile antistante alla sala da pranzo, porgono la loro ciotola ai donatori che la riempiono di riso, prendono la loro razione di carne, il dolce, la frutta e vanno a sedersi nella sala da pranzo, il tavolo è basso e devono sedersi per terra per poter consumare il pranzo. Oggi il pasto è ricco ed abbondante, nelle giornate senza donazioni, i monaci pranzano con un piatto fatto con riso, gamberi secchi, cipolle e peperoncino; ovvero gli ingredienti che abbiamo visti accumulati nella dispensa. I monaci entrando nella sala da pranzo si siedono senza un ordine ben preciso, pranzano in assoluto silenzio; solo ai monaci ammalati il pasto viene servito in camera. Quando il pranzo sarà servito a tutti i monaci, quello che avanzerà sarà distribuito ai poveri.

Lasciamo il monastero di Maha Ganayon Kyang e col pullman ci dirigiamo poco lontano, sulla riva del lago Taungthaman, l'automezzo si ferma e noi scendiamo per vedere il ponte U Bein (L263 - M148), il ponte in Teak più lungo al mondo; ben 1.200 metri. Il luogo è prettamente turistico, pieno di venditori e di bancarelle, con ogni scusa un nugolo continuo ed interminabile di bambini tentano di vendere di tutto. Presso il ponte delle barche a remi assomigliano vagamente alle gondole veneziane.
Il ponte ha una struttura molto semplice, due file di pali di legno infilati nel fondo del lago ad una distanza di circa 2,5 mt uno dall'altro, sono collegati da travi di legno, e sopra le stesse, delle assi inchiodate creano la passerella su cui camminare, la struttura è sprovvista di parapetti laterali, ma la gente cammina tranquillamente. Circa ogni trecento metri, è presente una casetta di legno che serve come sosta e come punto d'osservazione, a metà ponte, dove è presente una curva, la casetta è dotata di una scala che scende nel lago, qui è un crocevia di barche che raccolgono i turisti e li trasportano a riva; qualche persona del gruppo decide di rientrare verso riva con la barca, ma il tempo del rientro in barca si rivela molto più lungo del previsto e dobbiamo aspettare i ritardatari.
I ragazzini che vendono prodotti artigianali, si dimostrano poliglotti, hanno una notevole capacità d'apprendimento ed assimilano le parole straniere molto velocemente. Sulle bancarelle si trova di tutto, leggii di legno, sculture, decorazioni, collane e borse realizzate con semi d'anguria, disegni in bianco e nero ed acquarelli, collane e braccialetti di pietre varie, cappelli a ventaglio (dalla struttura in bambù e colorato), cappelli in paglia a falde larghe tipici dell'Asia.
Lasciamo il ponte di teak e nel tragitto verso il ristorante ci fermiamo presso un laboratorio artigianale dove lavorano l'argento. Vediamo le varie fasi della lavorazione del metallo, la fusione, la cesellatura, la lucidatura che è effettuata utilizzando frutti ed una pietra locale dal nome intraducibile. L'argento è fuso in un crogiolo alimentato da un maglio a mano, colato in lastre di fine spessore e poi cesellato. Questo artigiano produce braccialetti, orecchini, collane, vasi, scatole, suppellettili di ogni forma, gusto e prezzo; nel negozio sono presenti anche collane, orecchini ed anelli con pietre preziose.
Lasciamo l'artigiano e proseguiamo la nostra strada costeggiando un fiume, ad un certo punto un ponte di ferro lo attraversa, la struttura del ponte vede al centro una sede ferroviaria ed a entrambi i lati delle strade su cui transitano i mezzi motorizzati, ciclisti, pedoni e carretti. Il ponte realizzato dagli inglesi, fu distrutto dai giapponesi nel secondo conflitto mondiale, ricostruito nel 1952, attualmente è una struttura considerata instabile e per questo il governo birmano sta realizzando un ponte adiacente a quello vecchio.
Proseguiamo il trasferimento e ci fermiamo per il pranzo presso un ristorante cinese, nei bagni dei rotoli di carta igienica sostituiscono gli asciugamani, ma almeno sono monouso. Si pranza con nuvole di drago, zuppa, pollo, gamberi, maiale, riso e frutta.
Usciti dal ristorante, saliamo su dei furgoni e iniziamo la salita verso la collina di Sagaing (L268 - M152), durante la salita ci fermiamo presso il tempio di Umin Thounzeh (L268 - M153), il tempio delle trenta grotte; il tempio fatto a mezzaluna contenente 45 statue di Buddha, realizzato in onore dei 45 anni in cui Buddha ha girato predicando. La struttura è interamente piastrellata con ceramica, anche il pavimento della terrazza adiacente al tempio è di ceramica bianca.

Sulla terrazza Sosò ci spiega che i monaci buddisti fanno due pasti al giorno, il primo quando si svegliano, solitamente all'alba, ed il secondo, dopo aver chiesto la questua, comunque sempre prima delle 12, e fino al giorno seguente non assumono più cibo. Questa usanza fu introdotta nel tempo, in quanto i monaci facevano poca meditazione: il lungo digiuno dovrebbe servire anche per aiutarli nella meditazione. Mentre prendo gli appunti sul mio blocco, dei monaci incuriositi, vengono a vedere come scrivo e sorridono.
All'uscita del tempio, vicino a delle bancarelle alcuni artigiani stanno fabbricando, utilizzando i semi di anguria, collane, borsette e porta chiavi; un nugolo di bambini ci segue: vogliono vendere gli oggetti prodotti dagli artigiani.
Riprendiamo i camioncini e proseguiamo verso la cima della collina dove troviamo un tempio con all'interno una statua di Buddha che indica la costruzione della città, sulla collina è presente anche un monastero ed un cimitero, chiaramente non buddista. Giriamo per la collina e possiamo osservare il bello stupa interamente dorato che si staglia nell'azzurro del cielo. Percorriamo un corridoio colonnato interamente piastrellato e protetto da una tettoia dove sui lati sono presenti dei disegni rettangolari raffiguranti i 15 incubi avuti dal re ed i relativi interventi di Buddha; in cui l'Illuminato ne spiega il significato e predice cosa avverrà in futuro.
Poco distante, un tempio contiene una pietra, è la ''pietra del giudizio'' che è usata dagli studenti per sapere se un esame andrà male o bene; sollevano una prima volta la pietra, fanno un'offerta e poi risollevano la pietra, se la pietra sembra di minor peso significa che l'esame sarà superato, se la pietra sembra di maggior peso, difficilmente l'esame sarà superato.
Lasciamo la collina di Sagaing e sempre a bordo di pulmini, scendiamo verso la pianura percorrendo una strada diversa da quella utilizzata per la salita.
Ripartiamo per il rientro a Mandalay e lungo la strada ci fermiamo a visitare una fabbrica di arazzi. Gli arazzi si distinguono secondo il disegno e le finiture; se l'arazzo contiene poca superficie lavorata è da ritenersi poco prezioso, invece se presenta una superficie molto ricamata è da ritenersi prezioso. All'intero della fabbrica, sedute ad ogni tavolo, quattro ragazze lavorano a cottimo alla produzione di arazzi, l'età è indefinita, alcune potrebbero essere veramente giovani.
Proseguiamo il tour e poco dopo ci fermiamo in un laboratorio dove realizzano le foglie d'oro da apporre sulle statue di Buddha e nei luoghi sacri. Da 26 grammi d'oro escono ben 4.000 foglie d'oro, ognuna di pochi cm di superficie. Gli artigiani lavorano nell'area a piedi nudi, in quanto ritenuta sacra e benedetta. Per assottigliare l'oro utilizzano uno strumento fatto con dei fogli di carta bambù, larghi circa 15 per 15 cm, trattenuti da due pezzi di legno ai lati, legati a croce con della pelle di cervo. L'oro posizionato tra i fogli di bambù, trattenuti e legati dalla pelle di cervo, viene picchiato con una mazza, così facendo lo strato d'oro si assottiglia. Successivamente, i fogli di bambù vengono aperti e la foglia d'oro divisa in due parti, i fogli vengono richiusi e proseguono nella battitura. Questo procedimento è ripetuto per cinque passaggi, alla fine ottengono una foglia d'oro sottilissima che confezionata in bustine è venduta fuori dalle pagode e dei templi.
I fogli di bambù che servono per questa lavorazione, sono fatti stagionare nell'acqua per due anni, mentre la pelle di cervo che tiene uniti i bastoni di legno ed i fogli di bambù, è l'unica pelle resistente ai colpi di mazza inflitti dagli artigiani.
Le foglie assottigliate, vengono rifinite dalle donne che le predispongono in forma quadrata e le imbustano. I pacchetti di 10 bustine hanno un valore, in negozio di 1.500 khat, ovvero 1,5 €. Adiacente al laboratorio c'è un negozio, dove si trovano vari oggetti d'oro da quelli religiosi a quelli di bellezza.
Rientrando verso l'albergo in prossimità del fossato delle mura del palazzo Reale, ci fermiamo a fare delle fotografie.
Rientro in albergo, doccia e poi mi metto a sistemare gli appunti presi durante la giornata. La cena la consumiamo in un ristorante birmano; zuppa di lenticchie e cipolle, pesce, pollo, manzo, verdure, riso e di dolce, delle banane fritte. Il ristorante all'aperto fa ''assaporare'' appieno la temperatura calda ed afosa; terminata la cena, si torna in albergo, vado a letto con lo sguardo sulla pagoda illuminata, posta in cima alla collina.

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Dati del viaggio

Un viaggio tra i tesori dell'Umanità

Periodo: ottobre 2006

Destinazione: Birmania e Cambogia

Passaporto turistico

Raffaele Banfi

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