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BIRMANIA E CAMBOGIA di Raffaele Banfi

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Birmania, Yangon - Shwedagon Paya

Un viaggio tra i tesori dell'Umanità

16 ottobre 2006
La sveglia è alle 5,15, alle 5,45 le valigie sono fuori dalle camere, facciamo colazione mentre le prime luci del sole illuminano il lago, la visione è veramente suggestiva, delle rosse ninfee sono fiorite nello specchio d'acqua lacustre antistante il cottage; il cielo è parzialmente nuvoloso e le nuvole sembrano che si stiano abbassando. Spero che non si metta a piovere perchè dobbiamo prendere la barca per ritornare al pullman. Attraversiamo il lago verso nord, man mano che procediamo l'acqua da azzurra diventa marrone; lungo il percorso noto dei pescatori e dei fiori di loto. Vicino alla riva, tra i canneti compare la nebbia, strana sensazione approdare con la nebbia. Attracchiamo e sulla terraferma percorriamo una strada sterrata che porta alla cittadina di Nyaungshwe, dove nei pressi del mercato ci aspetta il pullman; mentre percorro il sentiero vedo ormeggiate delle barche di pescatori, gli stessi scaricano e trasbordano su dei di furgoncini posteggiati nelle vicinanze, sacche contenenti pesce che sarà venduto ai mercati delle città vicine.
Saliamo sul pullman e attraversiamo la città che due giorni fa era completamente allagata, transitiamo per vie che erano sommerse, il segno dell'acqua è visibile sui muri degli edifici. Percorriamo l'unica strada asfaltata che porta all'aeroporto, lo superiamo e proseguiamo in direzione di Pindaya, la distanza è di 80 km, il tempo di percorrenza stimato è 3 ore. Sembra un tempo inverosimile, ma passato l'aeroporto, dopo pochi km il nastro d'asfalto si restringe e diventa percorribile da un solo automezzo, la strada è piena di buche ed in caso d'incrocio, bisogna usare lo sterrato posto al lato della strada dove transitano carri agricoli e trattori.
Il paesaggio è collinare, le risaie hanno lasciato lo spazio a coltivazioni varie, la terra rossastra infonde un colore particolare al panorama; il viaggio è piacevole, lo sguardo spazia continuamente tra le colline in un susseguirsi unico di colori dei campi arati e dei campi coltivati, il rosso della terra si mischia al verde delle coltivazioni ed al giallo dei campi di sesamo fioriti, è un susseguirsi di piante, di colline coltivate e di fiumi. Proseguiamo il viaggio e dopo due ore arriviamo alla cittadina di Taunggyi (L201 - M173) con case di cemento e mattoni, le capanne sembrano sparite, è una zona di agricoltori e commercianti; pare d'essere in un altro paese, le abitazioni sono ordinate, circondate da terreno recintato, l'aspetto sembra più occidentale che orientale. Ci fermiamo e facciamo un giro al mercato; frutta, pesce, abbigliamento tradizionale e moderno (di fattura cinese), attrezzi vari. Qualche acquisto da parte del gruppo e poi si riparte per Pindaya. Sulle verdi colline compaiono le piante di pino, siamo a circa 1.400 s.l.m.; la strada continua ad avere le caratteristiche descritte prima, ed il traffico è intenso a causa dei contadini e della popolazione che si recano al mercato, incrociamo trattori stracarichi di persone, vediamo gente in attesa dell'autobus che li porti in città. A ogni mezzo che incrociamo, l'autista del pullman deve rallentare e mettendo 2 ruote sulla terra battuta (dove non troviamo pozzanghere d'acqua), incrocia l'altro veicolo; le difficoltà aumentano quando incrociamo camion o pullman.

Lungo la strada, nei campi vi sono dei contadini che stanno lavorando Sosò ci spiega che qui, nell'etnia Paho, i maschi arano il campo con l'aratro trainato dai buoi, le donne curano tutti gli altri lavori dei campi, la semina, la coltivazione, mentre gli uomini danno una mano solo per il raccolto e la disinfestazione delle piante; è una suddivisione di compiti tradizionalmente rigida. Lungo la strada, incrociamo molti carri, qualcuno è trainato da due buoi, altri più leggeri da un cavallo, lungo la strada vediamo un pozzo artesiano, è l'unico pozzo dove la gente può attingere acqua, anche se di colore marrone.
Dopo 4 ore dalla partenza arriviamo a Pindaya (L184 - M163), città famosa in Birmania per tre caratteristiche; lo stupendo lago, le onnipresenti secolari ed imponenti piante di ficus e le grotte.
Avvicinandoci alla città deviamo a sinistra e cominciamo a salire sulla montagna, con ripidi tornanti ci dirigiamo verso le Pindaya Caves (L185 - M164), le Grotte di Pindaya. Il pullman ci accompagna fino all'ingresso dove una tettoia conduce all'ascensore che porta all'entrata della grotta maggiore.
All'ingresso della tettoia una statua di un enorme ragno, simbolo della leggenda locale che vede sette principesse sorprese nella grotta dal ragno, che poi fu ucciso dal principe che liberò le principesse.
In prossimità dell'ascensore abbandoniamo le nostre calzature e saliamo verso l'entrata della grotta calcarea, lunga 150 mt con stalattiti e stalagmiti, articolata in più stanze di dimensioni diverse, ospita oltre 10.000 statue di Buddha, le statue più grandi sono 8.094. All'interno statue di ogni dimensione, gran parte sono di muratura stuccata e dorata, altre sono di legno, di alabastro, di lacca, di marmo, alcune sono annerite dal fumo delle candele, quasi tutte le statue sono ricoperte da foglioline d'oro. In una sala, vicino al pavimento, si apre una cavità, un breve e stretto corridoio porta ad un ulteriore stanza con delle statue di Buddha, è un luogo di meditazione per i monaci. Proseguendo per le stanze vediamo una statua lignea di Buddha in piedi, altre statue di lacca che sottoposte allo stillicidio dell'acqua della grotta, non possono essere ricoperte d'oro; fa un pò impressione vedere due statue nere in mezzo a migliaia di statue dorate. Proseguendo nella grotta vediamo un'enorme stalattite, concava all'interno, un tempo usata come gong (oggi non è più usata per questa funzione), in un anfratto vi è un tempio che è stato offerto dal governo attuale, e sinceramente è un poco pacchiano e stona nell'armonia delle statue presenti di epoche più antiche. In una grotta è stata realizzata una piccola pagoda, vediamo un altare dedicato ad un monaco eremita che vive su un fiume e che durante il periodo delle piogge, è chiamato nei villaggi per far cessare la pioggia ed evitare gli allagamenti (e pare che ogni tanto la sua intercessione funzioni). Nelle grotte lo stillicidio dell'acqua è continuo, il pavimento è scivoloso, e dovendo proseguire a piedi scalzi dobbiamo porre molta attenzione.

Usciamo dalla grotta che piove, per fortuna la tettoia ci protegge, tutt'intorno sulla montagna vediamo un susseguirsi di tettoie che conducono a varie grotte minori, ogni grotta contiene circa 200 statue di Buddha.
Riprendiamo l'ascensore che ci porta alla base, rimettiamo le scarpe e scendiamo lungo la scalinata d'accesso dove, nel vicino piazzale ci aspetta il pullman, sta piovendo ed utilizziamo degli ombrelli per arrivare all'automezzo. Poco dopo smette di piovere e comprendo la comodità della ciabatte infradito utilizzate dai birmani: anche se bagnano i piedi, in pochi minuti si asciugano.
Il pullman lascia la montagna e si avvicina alla città, alla periferia di Pindaya ci fermiamo per visitare una fabbrica di ombrelli tradizionali realizzati con la struttura portante di bambù, i raggi sono fatti con gelso ed il tessuto è di cotone. Qui fabbricano anche dei ventagli realizzati con gelso e tessuto di carta di bambù, tutti i prodotti sono decorati a mano con l'uso di tinte naturali. Il laboratorio è pervaso da un odore acre, è la colla che è utilizzata nelle varie fasi della lavorazione. Vediamo un artigiano lavorare con un tornio a pedali, dei pezzi di bambù destinati agli ombrelli.
Pindaya è nota, oltre che per le caratteristiche predette, anche per la coltivazione del the e del caffè, è l'unica zona del paese dove la pianta del caffè trova l'habitat ideale per la crescita. Ci fermiamo a pranzo in un ristorante dal nome latino ''Memento'', ci vengono servite delle sfoglie fritte, zuppa di fagioli, pesce, manzo, erba cipollina, carote con mozzarella di bufala, l'immancabile riso bianco; come frutta una banana rossa (molto dolce e delicata), i dolci sono degli squisiti biscotti con sesamo e burro. Infine, vista la pubblicità della Lavazza, presente sui tavoli, degustiamo un buon caffè espresso.
Al ristorante troviamo altri italiani, è una coppia toscana in viaggio di nozze, qualche parola con i nostri connazionali e poi ripartiamo; il tempo si fa minaccioso, ho l'impressione che al ritorno troveremo pioggia. Siamo leggermente in ritardo e dobbiamo arrivare all'aeroporto di Heho per prendere il volo diretto a Mandalay; dopo due ore di viaggio, arriviamo all'aeroporto. Scendiamo dal pullman e sulle magliette ci appongono un adesivo della Air Mandalay, il check-in è molto veloce, Sosò distribuisce i biglietti e dopo i controlli accediamo alla sala d'attesa, dove gli ingressi sono separati per uomini e donne. Nella sala altri passeggeri attendono il loro volo, un uomo sente parlare italiano e si avvicina, è un padre missionario del Pime, nativo di Bormio, e vive da 32 anni in Thailandia. E' a Heho per insegnare ai seminaristi teologia e filosofia; ora sta rientrando per un breve periodo in Tahilandia per poi ritornare e concludere l'anno d'insegnamento, qui i permessi di soggiorno non sono molto lunghi e deve continuamente uscire e rientrare nel paese. Scopriamo che in Birmania i cattolici sono oltre 700.000 divisi in 13 diocesi, un dato veramente sorprendente in un paese a così forte fede buddista.
L'aeroporto è molto frequentato, tre ATR 42 sono fermi sulla pista, due decollano e due arrivano, veramente inusuale per gli aeroporti finora visti e completamente diverso dalla desolazione di due giorni fa quando atterrando il nostro era l'unico aereo presente nell'area.
Decolliamo e vedo, poco distanti, le colline che delimitano il lago Inle, un'ultima occhiata al lago e poi l'aereo vira a destra, altri paesaggi appaiono, si vedono colline coltivate solcate da canyon, anche profondi, scavati dall'acqua, la terra rossa erosa dall'acqua appare come ferite vistose tra il verde dei campi e della foresta; il volo è breve, appena superata una catena montuosa inizia la discesa. Sosò durante il rientro da Pindaya, ci aveva comunicato che la strada per Mandalay è impraticabile a causa dell'alluvione che ha distrutto dei ponti, ed anche la città è parzialmente sommersa dall'acqua; fino a pochi giorni fa camion militari erano adibiti al trasportare dei turisti all'aeroporto della città.

Atterriamo e prendiamo il pullman, partiamo e ci dirigiamo verso la città, il percorso previsto richiederà almeno 1 ora. Mandalay è una città dove il contrasto con i poveri è evidente, la città è stata ''invasa'' dai cinesi dediti al commercio delle pietre preziose, essi hanno ottenuto dal governo l'affitto per 60 anni dei terreni sulle montagne dove cercare smeraldi, rubini ed altre pietre preziose, e nel tempo hanno trasformato Mandalay nel loro centro commerciale; gli stessi commercianti hanno creato delle catene di negozi dove vendono abiti e prodotti cinesi da loro importati e, fino a poco tempo fa anche l'oppio non era escluso dai loro traffici. Attualmente il divario sociale tra povertà e ricchezza è visibile in modo molto evidente.
Lasciato l'aeroporto viaggiamo su una strada bella ed asfaltata, quando vediamo ai lati baracche e tende: sono le abitazioni di fortuna della popolazione alluvionata. In prossimità di un ponte la strada è sbarrata dall'acqua, giriamo a sinistra ed imbocchiamo una strada secondaria che transita alla periferia della città; la parte più povera dell'abitato. Lungo il percorso, ininterrottamente vi sono tende e baracche di fortuna; centinaia o forse migliaia di persone ammassate senza soluzione di continuità. La gente cucina sul fuoco acceso a bordo strada e poco dietro hanno delle stuoie dove sdraiarsi per riposare, tutt'intorno pentole e suppellettili recuperate dalle loro abitazioni sommerse da oltre un metro d'acqua. La vita è veramente desolante in quelle condizioni; affiancate alle persone ogni sorta di animali, bovini, equini, suini, caprini, anatre. Poco prima delle 19, arrivando nella città, costeggiamo un fossato immenso, lungo oltre due km: è il fossato del Palazzo Reale di Mandalay (L244 - M139). La cinta muraria è lunga oltre 1,6 km per lato, ha quattro entrate e tre porte per lato. Originariamente ogni lato aveva una funzione specifica; il Sud era l'entrata per i Re ed i Regnati, a Nord l'entrata per i monaci, ad Est l'entrata era destinata al popolo ed ai visitatori, infine il lato Ovest era riservato all'uscita per i defunti all'interno del palazzo reale. Il palazzo era interamente ligneo e fu distrutto durante un bombardamento nel corso della seconda guerra mondiale.
Dopo oltre due ore dalla partenza dall'aeroporto, arriviamo in albergo, una struttura moderna ed ospitale che appare quasi irreale rispetto agli accampamenti che abbiamo appena visto.
Cena a buffet e poi ritiro in camera, la mia camera ha la vista una collina da cui scorgo, sulla sua cima, una pagoda dorata ed illuminata. Mi addormento pensando alle persone a me care che non possono condividere con me questa visione.

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Dati del viaggio

Un viaggio tra i tesori dell'Umanità

Periodo: ottobre 2006

Destinazione: Birmania e Cambogia

Passaporto turistico

Raffaele Banfi

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