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AFGHANISTAN di Giuseppe Bosio

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Viaggio in Afghanistan

LUNEDI 02 AGOSTO 2004
Dall'hotel ci dirigiamo di buonora all'ufficio della Cooperazione Italiana ( sfruttiamo la cortesia di Fabrizio Falcone) per inviare alcune e mail ai corrispondenti dell'AKDN in Badakshan affinché ci organizzino alcuni servizi in loco prima del nostro arrivo. Passiamo quindi all'Ambasciata Italiana per l'incontro stabilito con Batori. Gentilmente si sottopone alla raffica di quesiti di Gianni. E' la persona che dispone delle notizie più attendibili essendo stato recentemente nella zona che noi dovremo percorrere. Ha risalito il corridoio di Wakan circa 20 gg. fa fino a Sarhad de Wakan e poi ha attraversato il confine scendendo in Pakistan dal passo di Boroghil per rientrare in Italia. Sono queste le più recenti notizie che riusciamo ad ottenere. Poi sarà nostra cura verificare il tutto. Toccherà a noi decidere nelle varie situazioni. Le notizie sono tuttavia rassicuranti. I Waki ed i Kirghisi sono persone a quanto risulta molto cordiali ed ospitali anche se talvolta esistono degli attriti tra di loro per l'utilizzo dei pascoli da come ci informano agli uffici dell'AKDN. La partenza per il Badakshan si prospetta sotto i migliori auspici. Cerchiamo di raccogliere più notizie possibili. A tale scopo fissiamo un appuntamento per domani sera a cena nel nostro albergo assieme a Falcone. Partiamo dall'Ambasciata Italiana per la visita del palazzo di Babur. La strada per giungervi attraversa il sempre caotico centro. L'aria mi sembra sempre più irrespirabile per la cappa di smog che copre la città e penetra anche nei più reconditi angoli degli alveoli polmonari. Mi sembra che oggi sia più irrespirabile dei giorni precedenti. Forse la situazione è peggiorata a causa del vento forte che spira. Quando arriviamo al palazzo ci rendiamo subito conto della situazione disastrosa in cui si trova. Gli anni di guerre e combattimenti tra le varie fazioni in lotta hanno lasciato una traccia indelebile sull'edificio che ora a malapena lascia trasparire le ricchezze ed i fasti di un tempo. La zona è stata teatro di forti scontri. I segni dei proiettili sono molto evidenti su ciò che rimane delle mura del palazzo. L'AKDN sta lavorando alla sua ricostruzione cercando di renderlo allo splendore di un tempo con ingenti finanziamenti ed un numero elevato di tecnici ed operai. Raccolgo un'abbondante quantità di immagini per documentare quanto resta. Il pomeriggio passa a casa della nostra guida che vuole presentarci il padre, ex professore di letteratura. Con orgoglio ci mostra la dimora appena ricostruita: in parte con i soldi ed i finanziamenti per i profughi ed in parte con quanto guadagnato lavorando per la Cooperazione Italiana. Prima di entrare in casa ci fa attendere alcuni minuti che gli servono per allontanare le donne della famiglia. Quando tutto è pronto siamo invitati ad entrare in una modesta stanza dove fanno mostra gli unici poveri arredi costituiti da un letto/divano ricoperto da un tappeto che funge da copriletto, ed un altro tappeto disteso a terra sul quale sono gettati alcuni cuscini e dove sta seduto in lettura l'anziano padre. Sono tutti di etnia Pastun. Hanno vissuto molto tempo come profughi nella città di Paschawar in Pakistan e sono rientrati in Afganistan solamente da un paio di anni dopo la resa dei Talebani. I pochi soldi raggranellati lavorando con gli italiani e gli aiuti per i profughi hanno permesso la ricostruzione della loro casa. Sul retro di essa sono ancora evidenti i resti di quanto rimane del vecchio edificio distrutto dalla guerra.

Il pomeriggio passa tra disquisizioni letterarie e raffronti linguistici tra Daniela e l'anziano professore. Il solito the servito alla maniera Afgana accompagna la conversazione: tutti seduti a terra attingendo dalla comune teiera. Quando il the finisce viene rimpiazzato con altro preparato dalle donne di famiglia che, bussando senza farsi vedere, danno il segnale che è pronto. Alla nostra conversazione partecipano solo i maschi di famiglia. Anche per i bambini vale la stessa regola: sono ammessi solo quelli di sesso maschile. La curiosità non impedisce alle bimbe di far capolino furtivamente dalla porta per scomparire poi velocemente quando qualcuno di noi volge verso di loro l'attenzione. E' molto radicata anche qui a Kabul nella capitale la concezione che la donna non deve apparire in pubblico. Siamo assieme a persone che vivono in città, a contato con occidentali, che lavorano da parecchio tempo con italiani, con un grado di istruzione elevato (la nostra guida è laureata in lettere ed il padre un ex professore di scuola superiore) eppure la donna è mantenuta in uno stato di segregazione anche presso i ceti più colti. Cosa ci aspetterà quando incontreremo i pastori che vivono sulle montagne!!!! Prima dei saluti Daniela viene invitata a fermarsi per conoscere le donne di famiglia. Noi siamo esclusi dall'incontro. Il volto scoperto delle donne di famiglia, anche se queste non indossano abitualmente il burka, può essere visto dagli estranei solo se di sesso femminile. Avevo potuto constatare che non indossavano il burka poiché le avevo intraviste transitare davanti alla vetrata della stanza in cui eravamo accomodati per il the. Stiamo forse iniziando a verificare la reale condizione femminile in questo paese. Quanto ci sia da scoprire ancora non posso immaginare; quanto sia lontana da ciò che supponevo la realtà di questo paese. Non ho trovato scenari di guerra come possono far supporre le descrizioni dei nostri giornali e mezzi televisivi. E' si una città che porta evidenti i segni di tanti anni di scontri. Le case hanno ancora evidenti sulle facciate le ferite lasciate dai proiettili sparati senza risparmio. Parecchie sono ancora le zone con macerie e rottami bellici. La luce elettrica può ancora mancare alla sera e gli hotel sono costretti a ricorrere ai gruppi elettrogeni per garantire l'illuminazione. Le zone di possibili attentati sono ancora protette da abbondanti apparati difensivi. Malgrado questo è una città che vive la sua vita normale. Col suo traffico caotico, i suoi commerci nel bazar, la gente che lavora regolarmente. Nessuno pensa più alla guerra. Dà l'impressione di una città che vuole vivere la sua vita dimenticando prima possibile quanto ha vissuto negli ultimi anni.

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Dati del viaggio

Viaggio in Afghanistan

Periodo: Dal 30 luglio 2004 all'11 settembre 2004

Destinazione: Afghanistan

Partecipanti: Giuseppe Bosio, Daniela Roso e Gianni Pedrini

Passaporto turistico

Giuseppe Bosio

Vive a Bassano del Grappa dividendo il suo tempo fra innumerevoli attività sportive e culturali. Lasciato alle spalle il ruolo di dirigente industriale, con la stessa perizia dedicata al lavoro, ha iniziato ad organizzare questo viaggio a coronamento di un'idea che perseguiva da tempo. Viaggiatore da sempre, è stato anche accompagnatore di gruppi un pò in tutto il mondo: di lui si dice che è più facile trovarlo in un aereoporto o in cima ad una montagna piuttosto che a casa.
Socio CAI presso la sezione di Bassano del Grappa, appassionato di montagna ha effettuato numerosi trekking in Himalaya e in Sud America nelle Ande, ha scalato i vulcani Popocatepetl, ed Ixtaciuatl in Messico. Con gli sci ai piedi ha raggiunto moltissime cime delle Alpi (dalle Dolomiti alle Alpi Occidentali), il monte Ararat e le principali cime dell' Atlante in Marocco.
Ha effettuato parecchi viaggi nelle Americhe: Stati Uniti, Messico, Guatemala, Bolivia, Perù... In Africa ha visitato: Ruanda, Kenia, Tanzania, Namibia, Mali, tutti i paesi del Nord Africa ed ha attraversato il deserto del Sahara. In Asia ha attraversato India, Indonesia, Tibet, Cina, Pakistan, Nuova Guinea, Borneo.
Amante della vela, ha navigato per parecchi mesi lungo le coste della ex Iugoslavia. Appassionato di fotografia dispone di un ricco archivio di immagini raccolte durante i viaggi. Ricerca nei suoi viaggi il contatto con la gente ed è affascinato dalle culture degli altri popoli in particolar modo del mondo orientale.

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