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INDIA di Simone Mariotti

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Cinque fermate per il paradiso del tè

Nel doppio sedile alla mia destra, oltre il corridoio, c'erano una vecchia e una bambina che, con un continuo di ''turni'' quasi regolari, vomitarono per più di un'ora (per fortuna in un robusto sacchetto di plastica che si erano portate dietro), tra il risolino di qualcuno degli altri passeggeri e il mio terrore di fare presto la stessa fine. Fui salvato in extremis da una serie di soste ravvicinate che mi permisero di volta in volta di recuperare, ma ero veramente al limite della sopportazione.
Con tutte quelle fermate e rapide ripartite mi sentivo come quella volta di venticinque anni prima o giù di lì, quando con un paio di amici d'infanzia andai al Luna Park di Miramare, poco lontano dal centro di Rimini. Io e Gianni, che allora avevamo più o meno quattordici anni, come molti ragazzini eravamo due fanatici di tutte le attrazioni che ti ribaltavano lo stomaco come un calzino. Appena arrivati al parco, esattamente come gli stop & go del mio pazzo bus indiano, iniziammo a salire su una giostra dopo l'altra e, scesi da una, letteralmente correvamo come drogati sulla successiva, utilizzando come tempo di recupero solo la fila per il biglietto; e dopo poco più di mezz'ora, prima della sesta, capitolai e in una pausa più allungata del solito vomitai tutta la pizza che avevo mangiato un'ora prima. Sul bus sarebbe bastata una fermata in meno e avrei fatto la stessa fine, a venticinque anni di distanza.

Ero salito in fretta, mentre uno dei due controllori col fischietto al solito gridava. Il piccolo autobus non era molto affollato e c'era anche qualche posto a sedere. Mi ero messo in piedi, tenendomi stretto alle barre che correvano sul soffitto, proprio dietro al guidatore, dove era stato eretto un piccolo altarino in omaggio a Ganesh e ad altre tre divinità: una era Shiva in posizione nataraja, ma le altre due non ero in grado di identificarle, forse una era la moglie Parvati. Era una teca che si sviluppava orizzontalmente per un metro circa, alta forse una quarantina di centimetri, ed era incorniciata con un metallo dorato, con varie collane di fiori ai lati e delle lucine colorate come quelle che noi utilizziamo per decorare gli alberi di natale. Il tutto rivolto verso l'interno del mezzo. Non era la prima volta che ne vedevo una in quella posizione, ma di solito le immagini sacre, foto, fiori e statuette varie vengono messi sul davanti a fianco del guidatore, alla base del parabrezza centrale. E' abbastanza comune trovare simili ''addobbi'' in Asia. Uno dei più pittoreschi, pieno di fiori e di frutta, mi era capitato di vederlo in Thailandia, durante un viaggio tra la vecchia capitale imperiale Ayuttaya e Loopburi, una cittadina invasa dalle scimmie, poco più a nord. Ma l'omaggio in quel caso era a Buddah.
Mi ero aggrappato, con rispetto, all'altarino, ma in una posizione piuttosto scomoda. E' che non sapevo dove mettere lo zaino perché davanti a me c'era il vuoto e non lo potevo incastrare da nessuna parte. In realtà non c'era proprio il vuoto. C'era un sedile che era quasi vuoto, da tre posti, sul quale però era seduta solo una donna anziana. Ora, le indiane che viaggiano da sole, non tutte, ma molte sì, specialmente nelle zone rurali, non è che siano particolarmente felici di sedersi al fianco di uomini che non siano della loro famiglia. Non è nulla di drammatico né di socialmente vietato, ma a volte capita che sia così, un po' per un fatto dovuto all'onore, alla cultura, o una forma di antico decoro, di moralismo o altro (nei treni si stanno diffondendo gli scompartimenti ladies only, ma solo per motivi di sicurezza contro il grave problema della violenza sulle donne). Fatto sta che la signora, supponendo quelle che avrebbero potuto essere le mie intenzioni, mi stava squadrando con una certa preoccupazione. Sapevo che quella situazione la stava mettendo in difficoltà e attesi un po' in piedi guardano con insistenza il sedile, divertito. Non avevo intenzione di disturbarla sedendomi, ma non gli dissi nulla. Appena l'autobus fece una fermata, la donna fu lesta a chiamare le prime due ragazze che erano salite, adoperandosi affinché si sistemassero subito a fianco a lei. Mi venne da sorridere e mi girai verso l'autista per cercare di scoprire a che punto eravamo del percorso, ma senza successo. L'unica cosa certa era che aveva iniziato a piovere con maggiore decisione e che attorno alla strada la foresta sembrava farsi più fitta.
Il viaggio su quel mini bus fu tuttavia molto breve, lo si sarebbe potuto intuire anche dal basso costo del biglietto, appena 5 rupie (neanche 8 centesimi di euro). Dopo un quarto d'ora, due fermate e una corsa sotto la pioggia da un autobus all'altro nell'autostazione di Popparm, finalmente ero a bordo di un diretto per Munnar.
Era ancora giorno, ma stava iniziando a imbrunire. La luce però era sufficiente a farmi apprezzare la bellezza di un paesaggio decisamente cambiato rispetto all'inizio. Salivamo più in quota, e ai lati della strada, oltre alla foresta, iniziavano ad apparire anche le prime piantagioni di tè. Ero seduto ancora una volta in fondo all'autobus con la porta inesorabilmente aperta. Entrava molto vento e anche un po' di pioggia. Mi misi una maglia più pesante e il mio solito k-way malandato, ma non stavo bene ugualmente e temevo di riammalarmi come due settimane prima, quando tra Puducherry e Tanjore uno strano virus mi ''regalò'' per due giorni 40 inflessibili linee di febbre.
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Dati del viaggio

Cinque fermate per il paradiso del tè

Destinazione: India

Passaporto turistico

Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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www.simonemariotti.com

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