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INDIA di Simone Mariotti

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Cinque fermate per il paradiso del tè

Kumily, montagne del Kerala meridionale (India del Sud), 4 settembre 2009.
La notte non era stata una delle mie più gloriose, ma migliore di quella precedente che mi aveva visto a stretto contatto con il piccolo bagno della stanza che avevo preso al Coffee Inn. Mi ero rimesso a posto molto in fretta, ma avevo una gran voglia di andarmene da quel luogo sì carino, ma che sembrava tanto una specie di Disneyland in versione forestale, dove tutto era organizzato e tutto un po' scontato. Ma c'era comunque una delle più grandi riserve al mondo per la salvaguardia della tigre, e ogni cosa ruotava attorno a essa, e lasciare un po' di soldi al parco era quasi doveroso, non molto avventuroso, ma doveroso, ed era quel che contava.
La stazione degli autobus di Kumily era il solito spiazzo caotico e polveroso come lo trovi in tutta l'India, con i bestioni della Tata colorati e malridotti che si muovono con disordinata autorevolezza, strombazzando sereni, mentre i venditori di samosa, noccioline, ananas, giornaletti e molto altro ancora attendono di salire sul mezzo che sta arrivando per tirar su qualche rupia.

«L'autobus diretto per Munnar, quello delle 14, oggi non parte».
La notizia ferale, che in realtà si rivelò provvidenziale, me la diede un uomo in divisa, nervosetto che stava nell'ufficio della stazione, «prova a sentire con qualcuna delle compagnie private, ma tanto non c'è nulla», insisteva.
«Come mai? E' sicuro? Mi avevano detto che uno c'era comunque».
«Sì è rotto a metà strada e arriverà solo stasera. Quindi riparte domani».
Mi diressi verso un'altro ufficio, dove un addetto, questa volta ben più rilassato, in maniche di camicia e lunki, il lenzuolone indossato a mo' di sottanone, diffusissimo tra gli uomini del Kerala, ascoltata la mia richiesta, si guardò attorno e mi indicò un controllore appena sceso da un bus, urlandogli una qualche spiegazione in lingua malayalam. Come un pacco venni spedito sopra un pulmino rosso che stava partendo, ma fatti pochi metri, ero di nuovo a terra perché l'autista, che parlava un'inglese più comprensibile dei suoi colleghi, capito dove dovevo andare realmente, mi disse che se restavo a bordo non sarei arrivato neanche e a metà strada e che per giungere sino alle piantagioni di tè di Munnar, c'è era tutti i giorni un diretto... quello delle 14!
Vistomi di nuovo a terra, l'uomo in ''gonnella'' mi chiamò e mi disse che un autobus per Munnar forse c'era alle 15.45, ma non era sicuro che arrivasse in tempo lì a Kumily. E la parola ''forse'' in India ha un suono ancora meno rassicurante che altrove.

«Come ci arrivo a Munnar, non mi dire che devo restare qui ancora una notte?»
Ero tornato al primo ufficio, dove l'uomo in divisa, che in realtà, a guardarlo bene, probabilmente aveva dieci anni meno di me, anche se ne dimostrava cinque di più, stava leggendo un giornale. Questa volta sorridente, si alzò e diede un'occhiata molto veloce alla mappa che era appesa al muro, giusto per cercare un dettaglio che forse mancava nella sua mente o una conferma. Rimuginato il tutto per un attimo, mi consegnò un piccolo pezzo di carta lungo dieci centimetri e largo tre, che ancora conservo, su cui aveva scritto, oltre a Kumily e Munnar, altri tre nomi di città, o meglio di piccoli paesini, in ognuno dei quali avrei dovuto prendere una coincidenza.
«Devo cambiare 4 autobus, sei sicuro?», già mi vedevo passare la notte in mezzo alle montagne, perché se avessi dovuto scommettere sulla mia capacità di centrare in un tempo ragionevole tutti i cambi, in una tratta che un diretto impiegava oltre cinque ore a coprire, non avrei puntato una rupia sul fatto che sarei riuscito ad arrivare a Munnar prima di mezzanotte.

Perché mi fossi trovato in quella condizione, senza aver programmato quasi nulla, senza essermi informato con precisione su orari tempi di percorrenza, senza la certezza, ma solo la speranza di arrivare e di trovare un posto per dormire, speranza che si affidava a un passaparola di una settimana prima, come dirò poi, non lo so. Ma era, ed è, bello così, e chi lo ha provato lo capisce. Sentirsi vivi perché privilegiati nel riuscire ad assaporare la bellezza di un cammino nella sua complicata imprevedibilità.
Dopotutto non è questo lo scopo del viaggiare? Viaggiare, appunto, per vedere. Spostarsi anche scomodi, anche senza obiettivi, anche perdendo tempo, indifferenti alla pioggia e al vento, alla solitudine, allo sporco, al disagio. Ma lì per guardare, riempirsi del mondo che ti siede accanto, mentre la meta finale è quasi solo il punto di partenza di un nuovo percorso, anche lui vago.

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Dati del viaggio

Cinque fermate per il paradiso del tè

Destinazione: India

Passaporto turistico

Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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www.simonemariotti.com

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