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BORNEO di Simone Mariotti

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Copertina libro "Non dite a Sandokan che sono stato qui"

Meglio le sanguisughe

Ma c'è un grande orgoglio e consapevolezza di essere riusciti a mantenere intatto qualcosa di speciale, e un sistema di irrigazione eccellente (e misterioso!) che fa si che il riso delle Kelabit sia così unico.
Un vecchio contadino incontrato all'aeroporto il giorno della mia partenza, mi chiese con curiosità cosa si coltivava in Italia, con quali tecniche, se amavo quello che la terra mi dava. Ai suoi tempi, prima che alla fine degli anni '40 venisse costruito l'aeroporto, le Kelabit Highlands erano un mondo a se.

Arrivare a Miri richiedeva circa 20 giorni di duro e pericoloso cammino tra fiumi e foresta, e solo per i pochi mesi l'anno in cui le piogge lo permettevano. La maggior parte degli abitanti, specialmente le donne, trascorrevano la loro intera esistenza senza mai lasciare Bario. Tempi lontani, di cui qualche traccia è rimasta ancora oggi, soprattutto attraverso le sembianze delle donne ultra settantenni con i loro piedi tatuati da un inchiostro scuro e le inconfondibili orecchie con i lobi forati e abnormemente allungati, simbolo di un'idea tramontata di bellezza e femminilità, obbligatorio fino a qualche decennio fa.

Nei villaggi sparsi tra le highlands in un raggio di 30-40 Km, sino oltre il confine con l'Indonesia, i ritmi sono ancora lenti e gli stessi di un tempo, anche se nelle case dei leaders (quelle col generatore) fanno bella mostra di se enormi parabole per ricevere, perlomeno, la tv.
A Pa Lungan, la culla del riso per eccellenza, dove sarei arrivato qualche giorno dopo, con ore di cammino, i cacciatori avevano portato a casa un grosso cervo che sarebbe stato venduto il giorno seguente a Bario per 7 ringgit al chilo (circa 1,6 €), trasportato a spalla ovviamente, con tre ore di marcia su per la montagna. Non capita spesso una preda così. E allora si festeggia dopo cena, seduti attorno al fuoco, bevendo litri di ''caffé'' e the, in compagnia di un bottiglione di whiskey scozzese, con il fuoco che ci illumina e ci scalda mentre piccoli tranci di carne abbrustoliscono, forse un po' troppo, sulla brace.
La pioggia batte forte sul tetto, ed anche un ragno gigantesco che pareva non aver paura di nulla si trincera sotto una tegola. Mentre il resto della carne appesa ad un chiodo attende il suo destino.

Altri uomini del piccolo villaggio ci raggiungono. Si parla di commercio, della foresta, della caccia che non è più concessa ai Kelabit come un tempo, per proteggere gli animali: ''ma loro vanno avanti con quel fottuto disboscamento, e non è peggio? La nostra cultura sparisce per avere un cervo in più, ma la foresta muore. Se uccido un Hornbill (''bucero'', un maestoso uccello dal grande becco, simile a un tucano, simbolo del Sarawak) mi fanno una multa colossale, ma loro indisturbati distruggono il suo habitat''. Saggezza semplice ed umana; poi silenzio, notte e luce.

Non ho voglia di tornare subito alla sbobba nauseabonda sul relativismo, alle pugnette dei nostri politici e a quelle dei banchieri. Preferisco, ancora per oggi, le tante sanguisughe di cui porto ancora i segni addosso, quelle vere, quelle che ti tolgono il sangue solo per sopravvivere un po' anche loro; e che vita.
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Dati del viaggio

Meglio le sanguisughe

Destinazione: Borneo

Passaporto turistico

Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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www.simonemariotti.com

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