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INDIA di Simone Mariotti

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Cinque fermate per il paradiso del tè

Oramai quella era la frase chiave del mio viaggio. ''Qui davanti'' significava davanti a un negozio di spezie o, meglio, di un rivenditore grossista, che le raccoglieva dai contadini e le rivendeva in grandi sacchi, e che stava dalla parte opposta della strada, un po' a nord.
Era situato sotto un piccolo porticato dove c'erano altri negozi, in tutto saranno stati una decina, ma forse meno. Poco più in là, di fronte, c'era un palazzo a due piani con altri negozi uno dei quali mostrava una lunga distesa di vestitini per bambine dai colori sgargianti, il vero segno tangibile che ci trovavamo in India, un negozio immancabile anche nel posto più sperduto dell'entroterra. Nelle città più grandi, di questi negozi se ne vedono ovunque. A Bangalore un'intera area del mercato era occupata da enormi stand dove se ne trovavano a centinaia, forse migliaia.
Il grossista, grosso pure lui, sulla cinquantina, stava pesando dei sacchi di cardamomo assieme ad altri due uomini, uno anzianotto e un ragazzo molto giovane, che lavoravano senza dire una parola, stranamente. Non c'era comunque molta confusione da nessuna parte, altro fatto insolito.
L'uomo del negozio mi chiese dove fossi diretto, e mi confermò che dovevo stare lì, fiducioso.
«Vuoi delle spezie?»
''Tentar non nuoce'', si sarà chiesto, anche se era l'ultima delle cose di cui avevo bisogno. Forse avrei preferito un ombrello dato che stava iniziando a piovere e il mio k-way era mezzo bucato, e molto poco impermeabile.
«No grazie, le ho già prese e ne ho abbastanza».
«A Kumily
«Sì, e non ho molto spazio»
«Cardamomo, è ottimo», aggiunse, più per fare due chiacchiere che per tentare di vendermelo realmente.
Il effetti il cardamomo dell'India del Sud, specialmente del Kerala, è uno dei migliori del mondo. A Kumily avevo visitato un giardino di spezie in cui, oltre alle piante, mi fu mostrato anche la specie di forno usato per l'essiccazione delle capsule. E anche quello confezionato da tempo manteneva un profumo intensissimo.

Il mio quarto autobus era poco più piccolo del terzo, e aveva ancora meno posti a sedere, quasi un pulmino un po' allungato. Però, non so per quel motivo, c'erano addirittura due controllori: uno che faceva i biglietti e l'altro che, assieme al primo, teneva d'occhio le due uscite. Forse erano necessari due uomini perché le fermate erano quasi istantanee: si saliva e si scendeva senza perdere tempo, e al fischio dei due uomini l'autista ingranava la marcia.
A ogni fermata, uno dei due ragazzi urlava come un forsennato i nomi di quelle successive, sia mentre l'autobus entrava in un villaggio, sia mentre ripartiva, casomai ci fosse qualche ritardatario da prendere letteralmente al volo, e spesso c'era.
Altra differenza era il fischietto. Nei mezzi più grossi, quelli con un solo bigliettaio, c'è una cordicella che corre lungo il soffitto cui è legata una campanella fissata proprio sopra la testa dell'autista. Il bigliettaio controlla le porte e facendola suonare ordina, secondo un codice stabilito, di fermarsi o di ripartire.
Uno dei due ragazzoni che gestivano il flusso di persone del mio quarto bus, invece, aveva un fischietto che usava nello stesso modo, e siccome fischiare è più divertente che tirare una cordicella di spago, ci dava dentro nello stesso modo in cui gli autisti indiani di qualunque mezzo (autobus, taxi, rikshow, moto), usano il clacson: di continuo, come se la macchina fosse un'estensione del proprio corpo e richiedesse a ogni espirata anche un colpetto sonoro come per scaricarsi.
L'uso del clacson è tuttavia necessario, vista la generale ''prudenza'' di guida che non risparmia neanche i centri più affollati. Serve per dire ''sto arrivando, vado forte e ora lo sai. Poi vedi tu: uomo avvisato mezzo slavato''. E siccome ovunque ti torvi tra bus e alti mezzi ne arrivano sempre cinque o sei alla volta, in ogni tratto di strada questo caos orchestrale è quasi sempre al top.

Il penultimo tratto che percorsi tra quelle alture del Kerala era l'ideale per ''apprezzare'' il totale disprezzo del pericolo degli autisti indiani. La velocità di crociera si manteneva attorno ai 50 chilometri orari, che a dirlo non sembra gran che; ma immaginate delle stradine di montagna, strette, piene di curve e tornanti, male asfaltate e bagnate. Spessissimo si sentiva l'odore caldo dei freni, tanto erano sollecitati. Quando poi, giorni dopo, sono sceso da Munnar per tornare sulla costa, con un unico viaggio diretto di cinque ore, le prime tre sono state un incubo. Persino gli indiani che viaggiavano con me, certamente più abituati a quell'andare, davano segni di impazienza. Io poi mi ero messo scioccamente in fondo all'autobus, dove ogni movimento è amplificato. Mi ero seduto lì perchè ero stato tra i primi a salire a Munnar e siccome c'erano tantissimi posti, mi sistemai in coda per poter osservare con più comodità la vita che si sarebbe svolta davanti a me.
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Dati del viaggio

Cinque fermate per il paradiso del tè

Destinazione: India

Passaporto turistico

Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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www.simonemariotti.com

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