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INDIA di Simone Mariotti

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Cinque fermate per il paradiso del tè

Giunto in loco, poggiai lo zaino e mi armai subito del mio foglietto ''lasciapassare''. Un ragazzino, che sembrava il più incuriosito dalla mia presenza, si fece avanti.
«Devo andare a Nedumkandom», dissi in un inglese molto lento, con la certezza di aver storpiato il nome della mia destinazione. Ma il ragazzino capì al volo, e ridendo mi disse di aspettare; anche un signore dietro di lui, forse il babbo o lo zio, anche lui con un lunky, mi fece un cenno bonario col capo.
Il ragazzino aveva voglia di parlottare un po'.
«C'è una festa qui, l'Onam, e anche in altri villaggi», e mi indicò una piccola manifestazione che avevo scorto arrivando. Non sembrava nulla di speciale, ma in effetti, data l'esiguità del paesino c'era molta gente, caotica e colorata, tutta attorno a un carretto con sopra uno degli dei del ricco pantheon indù.
Il ragazzino rimase in silenzio per un paio di minuti, guardandomi come se si trattenesse dal chiedere qualcosa di imbarazzante. Poi non resistette più:
«Perché vai a Nedumkandom, non c'è nulla là».
Gli spiegai il mio ''problema'' e, rotto il ghiaccio, scattò la solita sfilza di domande e risposte a cui ero ormai abituato da tempo.
«Sono italiano».
«Italia! Milano, Torino...»
Non so quante volte ho sentito ripetere questa tiritera, soprattutto dai venditori per strada. E Torino era molto più quotata di Roma, Venezia e Firenze. Potere ''olimpico'' probabilmente, anche se tra gli indiani e lo sport, cricket a parte, non è che ci sia mai stato un gran feeling. Eppure Torino primeggiava quasi sempre.
«Viaggio solo, non sono sposato, non ho figli».
«Quanto si guadagna in Italia?», questo, però, me lo chiese il presunto babbo del ragazzino vestito di bianco, ma era comunque una domanda classica.
Stava arrivando un autobus.
«E' il tuo», disse l'uomo, che stava evidentemente rimuginando sulle cifre che molto approssimativamente gli avevo detto. Loro due rimasero in attesa alla ''fermata''.

Quel secondo bus era veramente strapieno, e per quasi un'ora restai in piedi proprio sulla porta, sempre aperta; anzi, il portellone di chiusura mancava proprio. Mi dovevo reggere di continuo con due mani, premendo lo zaino con una gamba contro lo schienale di uno dei sedili a cui stavo aggrappato, per evitare di vederlo volare via a ogni scossone.
Uno dei rari cartelli stradali che vidi appena partiti diceva che a Munnar mancavano 65 chilometri. Erano le 15,50. Alla fine arrivai a destinazione alle 19,40!
Tuttavia, quella nuova strada in mezzo alla foresta era fantastica. Un paio di volte provai a fare un piccolo filmato con la mia macchina fotografica, ma entrambe le volte rinunciai, riconquistando subito la presa che avevo mollato, rischiando ogni volta di cadere fuori. E per tutta l'ora di viaggio quasi non mi mossi, se non con la testa.
Nedumkandom sembrava una simpatica cittadina. La stazione degli autobus era la più piccola tra quelle che mi è capitato di vedere, e copriva un'area quadrata incredibilmente tranquilla, circondata dalle palme su di uno spiazzo di terreno un po' in quota. Molti dei mezzi in attesa, tutti spenti, erano di una taglia inferiore rispetto ai soliti bisonti a quattro ruote; ma anche quelli lì, pur piccoli, erano sempre tutti figli della Tata.
Dopo poco scoprii che alle tre città in cui mi sarei dovuto fermare, avrei dovuto aggiungerne una quarta, perché per arrivare da dove mi trovavo a Popparm (la ''vecchia'' numero 3) prima sarei dovuto passare anche per... non avevo la minima idea del nome che mi era stato detto. Il mio destino era ancora in mano a un bigliettaio vagante che questa volta mi recapitò su un piccolo autobus semivuoto e ancora fermo.
«Partiremo tra cinque minuti», mi disse il nuovo controllore, già persona ''informata sui fatti'', impeccabile nella sua uniforme verde scuro, quasi marrone, simil militare. Era l'unico, oltre a me, a non indossare il lunki.

Il paesello fuori programma, la mia nuova terza fermata, si chiamava Rajakumari, un nome meno impegnativo di quel che credevo, ma se non fosse stato per le scritte sulle insegne dei negozi (che spesso riportano anche l'indirizzo completo) non lo avrei mai scoperto. Fui l'unico a scendere dal piccolo autobus, che proseguì inerpicandosi per una stradina in salita e scomparendo subito dalla vista. Ero in un'altra ''fermata''?
«Aspetta qui davanti!»
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Dati del viaggio

Cinque fermate per il paradiso del tè

Destinazione: India

Passaporto turistico

Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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www.simonemariotti.com

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