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INDIA di Simone Mariotti

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Cinque fermate per il paradiso del tè

La prima destinazione era Paliynmaly.
Ricaricato lo zaino sulle spalle tornai in trincea. Questa volta mi avvicinai subito a un gruppo di bigliettai che parlottavano in attesa di prendere servizio. Mostro loro il mio mini foglietto e ancora una volta salii quasi al volo su un bus già strapieno, e ancora una volta sentii il bigliettaio, da terra, urlare delle parole all'autista e l'ultima di queste era il nome della mia prima destinazione.
Dopo una mezzora molti dei passeggeri erano già scesi, anche se avevamo percorso appena una quindicina di km. Riuscii anche a trovare un posto a sedere e potei osservare meglio quel che accadeva attorno a me. Avevo già fatto tanti spostamenti in autobus e l'ambiente non mi era assolutamente nuovo. Ma non so perché, quel viaggio di quel giorno, quel sali e scendi, quella diversità che caratterizzò ogni tappa, una così vicina all'altra, mi fecero fissare nella memoria, meglio che in altre occasioni, tanti particolari di quella parte così tipica della vita indiana (gli spostamenti, quasi delle ''transumanze'' dato il numero di persone coinvolte, con spesso animali al seguito), a cominciare dagli indaffaratissimi e meticolosissimi bigliettai.
Erano tanti anni che non ne vedevo di quel tipo. Mi ricordavano quelli che c'erano sul flilobus di Rimini, quando da bambino lo prendevo tutti i giorni per andare a scuola ai Salesiani. Avevano gli stessi mini blocchetti per i biglietti, quelli fatti di carta colorata con toni pastello, verdi, gialli, blu, rossi, grigi. Ricordo che io e i miei amici osservavamo sempre il bigliettaio, che stava sul suo seggiolone davanti alla porta centrale, per vedere se durante il tragitto finiva uno di quei piccoli blocchi, per essere pronti a chiedergli la mazzetta rimasta prima che la buttasse via, come fosse qualcosa di importante, una specie di finto denaro che poi utilizzavamo per giocare. Roba che a raccontarla ai bambini di oggi ti danno del disadattato, e che invece per noi aveva un suo significato, quasi rituale, un contatto con il mondo ufficiale dei grandi, che ancora godeva di rispetto, e noi con quei mazzetti ce ne appropriavamo di un pezzettino.
I bigliettai indiani avevano un borsello identico a quello che vedevo nei miei bus infantili, che conteneva anche un quadernino su cui fare i conti precisi dei biglietti staccati e dei soldi incassati, che ovviamente dovevano quadrare. Ne ho visti tanti e quasi tutti, appena all'interno si stabiliva un po' di calma, si rintanavano su uno dei sedili liberi a fare i calcoli con grande attenzione; a volte restavano anche in piedi, poggiandosi su qualche schienale, quando la ressa non permetteva di fare altrimenti. E non poche volte si sono messi seduti vicino a me, ché spesso c'era un posto vuoto di fianco.

Il primo autobus di quel mio curioso viaggio era un classico Tata rosso e giallo. Ancora non pioveva e i finestrini erano tutti aperti. Lo sono praticamente sempre e nessuno di essi ha vetro o plexiglas per permettere una chiusura ermetica. Hanno però una tela di plastica grossa che cala dall'alto a soffietto una volta sbloccata e che copre molto efficacemente e velocemente dalla pioggia improvvisa, che spesso arriva violenta nel giro di pochi secondi, e anche dal freddo. Durante la stagione delle piogge è un continuo su e giù, con la luce, il vento, i profumi e i rumori della vita esterna che entrano ed escono. Quando sono tutti chiusi si accendono le luci, che non servono poi a molto perché dentro all'autobus si crea sempre una specie di effetto cinema grazie alla quasi onnipresente tv, che c'è in ogni carrozzone che si rispetti, sempre accesa, sempre con un film made in Bollywood sparato a tutto volume.
Sono i polpettoni indiani prodotti a Bombay, e sempre più anche a Madras, e che hanno una particolarità: l'eroe vince sempre per tutto il film. Le trame seguono un canovaccio ricorrente: storie d'amore, problemi familiari, gang che vogliono far del male alla bella di turno ecc. A differenza dei loro omologhi dell'Estremo Oriente, quelli prodotti più che altro a Hong Kong, dove in trame simili il divo di turno le prende di santa ragione sino agli ultimi dieci minuti, per poi scatenarsi miracolosamente alla Braccio di ferro e salvare la sua donna dai cattivi, qui, perlomeno in tutti quelli che mi è capitato di vedere sui pullman, mai una volta il protagonista è parso essere in difficoltà, e le sue imprese avrebbero fatto impallidire, non dico Superman, ma certamente Batman e Uomo Ragno! Nel 95% dei casi è trash estremo, roba forte; Ciccio e Franco al confronto sono due seriosoni da cineclub.
Se l'autobus ''disgraziatamente'' è sprovvisto di TV, è la musica a farla da padrona, ed è sempre e solo musica in lingua locale. L'attaccamento degli indiani alla loro cultura è infatti encomiabile, e inattaccabile.

Arrivai alla prima fermata del mio itinerario. Era un paesello con tre strade al cui incrocio si formava una Y: quella da cui eravamo arrivati, quella imboccata dall'autobus da cui ero sceso, quella lungo la quale avrei proseguito. La fermata non era esattamente una ''fermata''. Era un pezzo di strada dove tutti sapevano che l'autobus si sarebbe fermato, con un piccolo, perenne capannello di persone in attesa, che aveva così la funzione sociale di segnaposto. Il controllore del bus precedente, indicandomi l'uscita, mi aveva detto qualcosa che suonava come: «vai là e chiedi a qualcuno prima di salire».
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Dati del viaggio

Cinque fermate per il paradiso del tè

Destinazione: India

Passaporto turistico

Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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www.simonemariotti.com

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