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LETTERE DAL LAOS di Simone Mariotti

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Donne akha a Muang Sing

Droga, guerra e occidente: trasformare l'oro in fieno

Della marijuana che comprammo da Slatah e dalla sua amica al mercato, ce ne fumammo una piccola parte la sera al tramonto sul patio della nostra guesthouse, soli in mezzo alla campagna, il cui silenzio era rotto con discrezione solo da un minuscolo speaker attaccato al nostro lettore mp3 e da un buon numero di cicale. Il resto rimase lì, inutilizzata, pochi euro per arrotondare il bilancio degli akha, e il rimpianto per i miei amici, che la apprezzavano molto più di me, che invece ne adoro più che altro la fragranza.

E' la solita ipocrisia. Ricordavo un articolo di qualche anno prima, sul domenicale del Sole, che sono poi andato a rileggere. Era il 2002 e Massimo Dini raccontava di una sua esperienza simile a Luang Prabang, la vecchia capitale imperiale, per fermarsi poi su un particolare della realtà del Laos: ''Il governo di Vientiane, la capitale dove ancora sventola la bandiera rossa con falce e martello, è impegnata a bruciare i campi di papavero da oppio. In cambio, l'Onu costruisce infrastrutture e promuove colture alternative per le tante tribù che sopravvivono in condizioni primitive al di là di boschi profondi e selvaggi. Questa è la versione ufficiale. La verità però è un'altra. I campi esistono ancora, appartati, lontani dai villaggi. Se, al tramonto, quando gli uomini rientrano dai campi, ci si addentra in una qualunque capanna di bambù a palafitta, si avverte subito l'odore acre della droga''. Poi, ricordando la placida e serena calma delle notti laotiane, finì con una considerazione: stando là ''a nessuno viene in mente che questo paese è il terzo produttore mondiale di oppio dopo Birmania e Afghanistan. E che l'occidente, lungi dall'essere vittima, è stato, e resta, il maggior complice dei contrabbandieri di morte della Repubblica popolare democratica del Laos''.

Io ero da quelle parti un anno fa, e la situazione non era cambiata. Non è migliorata né in Afghanistan, dove la coltivazione è esplosa, né in Birmania, preziosa fonte di dollari per il sanguinario e inetto regime al potere.
Il fallimento delle politiche di sradicamento e di conversione è inevitabile essendo i paesi produttori governati da regimi che hanno solo l'interesse a raccontare balle per avere contributi e fare il contrario, e fino a che il ricco occidente continua a pagare bene grazie al proibizionismo le cose non cambieranno.
E' l'utopia di voler distruggere una cultura della droga che in quelle popolazioni dura da secoli, per non dire millenni, e che l'occidente ha convertito in cultura di morte tramutando la foglia di coca in cocaina e l'oppio in eroina.

Oggi qualcosa sembra cambiare. Da quest'estate la comunità internazionale pare intenta a perseguire una nuova strategia in Afghanistan, tesa a non sradicare più le coltivazioni per non far arrabbiare i contadini e peggiorare le cose. Chissà se capiranno anche che per far sì che le droghe tornino a ricoprire solo il loro ruolo storico, culturale e farmacologico nella vita di quei popoli, e anche dei nostri, bisogna trasformarle da oro in fieno, legalizzandole?

Pubblicato il 30 settembre 2009 su La Voce di Romagna in prima pagina
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Dati del viaggio

Droga, guerra e occidente: trasformare l'oro in fieno

Destinazione: Lettere dal Laos

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Simone Mariotti

Professione:
Promotore finanziario

Simone, classe 1970, riminese, dopo anni passati ad assistere persone che volevano far fruttare i propri risparmi, ha iniziato a scrivere su argomenti di finanza. Ha pubblicato un libro sulla storia della speculazione e il moderno mondo del risparmio dal titolo "Liberi si nasce" e "L'investitore libero". Ambientalista attivo, di ritorno da un lungo viaggio nel Borneo, ha raccontato la sua esperienza nel testo "Non dite a Sandokan che sono stato qui".

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